Chiarezza e profondità

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  • #720
    Javest
    Partecipante

    Leggete cosa scriveva Robert Abbott nel 1975 a proposito di chiarezza e profondità nei giochi.

    “What then gives one game more seeming ‘depth’ than another? It is not the comparative sizes of the strategy trees or the number of choices available. Depth depends simply on how far ahead, or how many choices, a human can see. And how far a human can see depends simply an the clarity of the game.”

    Per capire meglio leggetevi l’ articolo intero e soprattutto le regole di Epaminondas, che è un gioco nato da “Crossing” di Sid Sackson e ripreso da Abbott: lì la forza e la velocità di un pezzo sono direttamente espresse dalla sua dimensione sul tabellone; non ci sono quindi tabelle, conversioni, quick chart da sbirciare o transcodifiche da fare per vedere qualche mossa avanti e prendere delle decisioni, sin dalla prima partita.

    Che lezione…
    Chapeau.

    Post edited by: javest, at: 2008/01/31 21:21

    #8727
    tanis70
    Partecipante

    L’articolo è interessante, per quanto la “lezione” sia applicabile solo ai giochi ad informazione completa.

    Penso sia molto, troppo, diffuso (anche tra designers) una sorta di pregiudizio positivo a favore dei giochi astratti, ad informazione completa e privi di fattori casuali, come anche questo articolo dimostra.

    Abbott ha probabilmente ragione sulla “chiarezza”: un gioco è chiaro tanto più quanto posso “vedere” in anticipo le possibili mosse alternative.

    Credo che la profondità abbia invece più dimensioni. Semplificando, non penso, a dirla tutta, che il Texas hold’em sia un gioco meno “profondo” degli scacchi. Semplicemente, è profondo in direzioni (psicologia, calcolo probabilistico, tattica) diverse rispetto alla profondità degli scacchi (calcolo degli alberi delle mosse possibili, studio di partite precedenti).

    #8728
    Izraphael
    Partecipante

    Che sia molto diffuso un “pregiudizio positivo a favore dei giochi astratti, ad informazione completa e privi di fattori casuali” è – IMHO – non solo vero, ma anche abbastanza ovvio.
    Perchè se è vero che infilare dadi e carte in un gioco è abbastanza semplice, bilanciarne poi l’effetto in termini di gameplay è tutt’altro che banale.

    Il gioco deterministico ha dalla sua che è “matematico”: una volta inserite tutte le regole, non può arrivare l’alea a romperti le uova nel paniere.
    Inoltre, mi pare, c’è una certa tendenza ad associare il gioco astratto, magari condito con cubetti e segnalini in legno, come “elegante”.

    Dato che io ludicamente sono un po’ cerchiobottista, apprezzo sia i giochi dadosi che quelli adadici (sto coniando tonnellate di neologismi ma credo che i significati siano chiari…) e penso che si possano ottenere ottimi risultati con entrambi gli stili.

    Tanto per fare un esempio:

    – il mio Oktagrid è molto poco aleatorio – il lancio di 5 dadi a 3 facce, usati singolarmente (e non “sommati”) difficilmente riserva molte sorprese, e l’effetto delle azioni è assolutamente certo… Questo perchè il tipo di gioco è fatto per chi ama i giochi “scacchistici”.
    In Oktagrid tutto è davanti agli occhi dei giocatori, il gioco non ha numeri o parole sul tabellone, ma solo simboli.
    Per essere sicuro, i playtest sono stati comunque numerosi, però il gioco, una volta “finito”, girava da sè, matematicamente, con le partite decise sempre negli ultimi turni (tranne nel caso di madornali castronerie da parte dei giocatori).

    -al contrario, in Alabaster l’alea è presente (anche se ampiamente contrastabile con un po’ d’accortezza), se non altro per rendere bene l’idea dei “personaggi che cercano freneticamente qualcosa”, mentre la sfiga tenta in ogni modo di fermarli. Ossia: avevo bisogno di un gioco in cui dominasse la frenesia, la consapevolezza di non poter prevedere quello che c’è dietro l’angolo.
    Il Alabaster si tirano dadi e si pescano carte. Non solo non potevo usare i simboli (non più di tanto, almeno) ma non c’è neanche modo di prevedere o conoscere tutto: è la base del gioco. E questo ha reso necessario un grosso lavoro di bilanciamento (per evitare che singole mosse rovinassero una partita intera, o che un giocatore prendesse troppo vantaggio sugli altri etc), maggiore di quello di Oktagrid, in cui una volta decisa la posizione delle rune, il gioco girava da sè.
    E anche in questo modo, il “bilanciamento” è secondo me inferiore a quello del gioco di scacchiera.

    Insomma, di fatto mi tocca (ri)quotare Tanis: l’articolo è interessantissimo, ma non universale: ci sono giochi, anche belli, che non possono essere troppo deterministici, per ambientazione, stile di gioco, o semplicemente perchè all’autore piace così…

    PS: con questo non voglio dire che Oktagrid e Alabaster siano “ottimi risultati”, non ho questa presunzione. Erano due esempi tanto per illustrare le difficoltà – diverse – che ho incontrato nello sviluppare due tipi di gioco opposti.

    Post edited by: Izraphael, at: 2008/02/04 10:24

    Marco Valtriani
    Red Glove Edizioni & Distribuzioni
    Lead Designer
    --
    Board Game Designers Italia

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