E’ secondo me importante che, specialmente in siti come questo, chi ha avuto delle esperienze, positive e negative, cominci a condividerle. Cosi’ tutto il movimento crescera’.
Comincio io.
E comincio con un’esperienza negativa: la Eggert.
Come (qualcuno) di voi ha potuto provare in qualche Berceto/Piossasco/Orte/Vattelapesca negli ultimi due anni ho scritto un giocone chiamato Shipyard. Fatto 40 prototipi, speso un mutuo in stampa, carte, bustine, legnetti e speso centinaia di ore di lavoro in photoshop per fare un prototipo (finale) che fosse anche bello e piacevole da giocare.
Dopo piu’ 12 mesi di playtesting il gioco era talmente apprezzato da chi lo aveva provato che ho preso appuntamento con La HansImGluck e la Eggert per farlo vedere. A Essen lo hanno provacchiato e entrambe si sono dette estremamente interessate. La Eggert si e’ sbilanciata addirittura dicendo che quello era il “big game” per il loro 2008. Sono tornato da Essen felice.
Quando me lo richiedono ufficialmente mando il prototipo alla Eggert.
Per 3 mesi non ho saputo piu’ nulla.
Poi arriva la risposta: lo abbiamo provato e non pensiamo possa essere adatto alla nostra linea. Ok, risposta standard numero 3, penso io.
Avendo un buon dialogo con Tobias (l’editor interno della Eggert) gli ho chiesto che cosa ci fosse che non andava.
La risposta e’ stata che lo hanno giocato UNA VOLTA SOLA, e che non hanno provato “thrilling” nel punteggio finale.
Gia’ su questo ci sarebbe da discutere.
Comunque il peggio e’ che nelle infinite discussioni, sia a Essen che dopo, io avevo chiarito l’idea di base del gioco: un gestionale in cui ogni partita fa caso a se, in cui nessuno puo’ starsene la sera a predeisporre una strategia per poi applicarla roboticamente alla prima partita. L’idea era che il “buon” giocatore deve “reagire” agli input del gioco anziche’ stupidamente seguire un piano (magari letto su internet) senza tenere il cervello molto acceso.
Dopo tanto discuterne (e alla Eggert era stupefatti da questa idea e la ammiravano molto) ci hanno fatto una partita sola (che, dato che il gioco e’ completamente diverso da una partita all’altra, non vuol dire niente).
Mah!
Altra cosa di cui avevamo molto discusso era che essendo un gestionale, non doveva avere sorprese pazzoidi alla fine del gioco (punti segreti, carte bonus, ecc) perche’ il giocatore che aveva giocato meglio doveva vincere, senza essere sorpassato all’ultimo turno da un altro che aveva giocato peggio ma aveva avuto il c**o di pescare qualcosa di buono. Altra ammirazione e entusiasmo.
E poi?
Non c’e’ thrilling nel punteggio finale…
Esatto!
Il gioco funziona bene proprio per quello!!
Altra faccenda: alla Eggert non hanno tempo di fare editing di un gioco, di provare qualche regoletta alternativa o di allineare il gioco alla loro linea. Prendono un prototipo e se si adatta alle loro idee, bene, altrimenti non sprecano neanche un minuto a pensare a delle modifiche o limature. Lo buttavo via e… sotto un altro!
Morale:
– Anche quando sembra che un gioco sia molto apprezzato durante la prima presentazione non aspettatevi un gran che. Le chiacchiere sono gratis e gli editori parlano molto.
– Tutti gli editori funzionano con concetto della “linea editoriale” e cercano giochi che siano consoni a quella linea. Alcuni si prendo la briga di adattare un buon gioco alla loro linea, altri non perdono tempo e ti rifiutano il gioco e basta.
– Il principale parametro di valutazione di quasi tutti gli editori e’ LA PAURA. Nessuno vuol fare esperimenti (e in effetti se ci pensate tutti gli esperimenti vengono lasciati fare agli autoproduttori) ne investire un euro in un progetto non sicuro. Con questa filosofia non avremmo avuto Magic, ne Warhammer40000… Non proponete nulla di rivoluzionario, il meglio che otterrete e’ che rideranno della vostra “scarsa attenzione commerciale”. (non vi dico cosa mi disse la Blizzard a Parigi quando gli presentai il mio collezionabile ambientato su WoW…)
– La qualita’ intrinseca di un gioco non conta nulla. NULLA. La cosa che conta e’ come e quanto il vostro gioco si infila nella linea editoriale della ditta con cui state parlando.
– Pazienza. Occorre essere pazienti (e chi mi conosce bene sa QUANTO io sia incredibilmente paziente). Se un gioco vi viene rifiutato (anche sdegnosamente) non vuol dire che fa schifo ma solo che, armati di pazienza, dovete proporlo anche a qualcun altro.
Ecco, adesso che ho scritto questo devo anch’io armarmi di pazienza e non bruciare il prototipo in preda a rabbia e delusione….
sono daccordo con l’idea di condivedere queste esperienze.
Io ancora non ho mai presentato un gioco a qualche editore. Però mi è capitato di rivolgermi ad una importante azienda per la produzione di miniature in metallo per un wargame. La risposta è stata “te le vendo dopo che ho letto il tuo regolamento” :ohmy:
Ma come ti dico che darò molti soldi e tu invece di festeggiare mi chiedi il regolamento? Non so se si sia trattato di fair play nei miei confronti o voglia di scopiazzare… però di fondo c’è con i miei soldi faccio ciò che voglio… Vabbè lasciamo perdere
Vorrei aggiungere due paroline sulla “linea editoriale”. Se tali parole sono usate correttamente e non come sinonimo di “modo gentile per dire mi fa schifo ” vuol dire che la casa editrice deve tener conto di:
1) target di riferimento
l’editore ha scelto di pubblicare solo giochi da 6 a 12 anni, oppure da 3 persone in su, giochi educativi, ecc. Se il prototipo non rispetta tali criteri è scartato immediatamente
2) fattibilità fisica
è bellissimo ma ci sono 200 carte, 600 miniature in metallo dipinte, ecc. mentre la casa produce giochi di carte…
3) fattibilità economica
l’azienda non puo in questo momento sostenere un simile investimento, oppure può ma il margine di remunerazione previsto non è soddisfacente, ecc
4) mercato
l’anno X vanno di moda gli zombi, l’anno X+1 il fantasy, l’anno X+3 i pirati. Se presento un gioco sulle navi nell’anno X o X+1 tendelzialmente è maggiore la probabilità di un rifiuto rispetto l’anno X+3
5) concorrenti
ogni editore ritiene che una casa/e sia sua concorrente. Se quest’ultima pubblica un gioco di colonizzazione spaziale, uno di commercio spaziale, uno sul pirata spaziale , è probabile che l’editore cerchi un gioco di ambientazione spaziale e che quindi rifiuti il gioco di fuffy l’orsetto. E’ anche un po’ questo il meccanismo di come nascono le mode….
C’è inoltre da dire che il mercato degli ultimi anni tende verso una sempre maggiore offerta di titoli tant’è che c’è chi dice che questo è uno dei pochi settori in cui l’offerta supera la domanda. Quando per esempio una casa editrice riesce a pubblicare decine di giochi in un anno ed ha uno staff di 5 persone è probabile che cerchi giochi belli e pronti perchè non si riuscirebbe a procedere con la limatura in casa.
Infine parliamoci chiaro quante volte in tutti i campi un progetto valido è stato rifiutato perchè non compreso? Il tuo gioco semplicemente può essere stato giocato poco o male o tutti e due e quindi non compreso.
Prima o poi (spero prima ) troverai un editore che lo pubblicherà. Quel giorno ti consiglio di mandarne una copia alla Eggert!!!
Questo post, caro Piero, sembra fatto apposta per darmi l’occasione per agganciarci un mio ragionamento/provocazione a cui stavo pensando proprio in questi giorni, quando stavo riordinando la mia collezione di CD musicali.
Mi sono reso conto di una cosa che sapevo essere consuetudine nel mondo della musica (pop, rock, soprattutto “alternativa”) ma alla quale non ci avevo finora prestato troppa attenzione.
Molte band decidono di autoprodursi: c’è chi lo fa agli esordi, visto che non trova major disposte a metterli sotto contratto; ma c’è anche chi, una volta affermatosi, decide di staccarsi dalle major per fondare una propria etichetta, a volte un proprio studio di registrazione e di autoprodursi.
Più o meno tutti dichiarano di farlo per potersi esprimere liberamente senza le “intrusioni” e imposizioni dei produttori.
Solo così sentono di poter proporre un lavoro non condizionato, legato, imprigionato dalle esigenze della major di turno.
Tutto il giudizio sull’opera viene affidato al mercato, ai fans, agli ascoltatori.
A questo punto mi sono detto…
…perchè questo ragionamento non vale nel mondo dei giochi?
Perchè spesso quando si parla di autoproduzione, tra i commenti che girano si sente: “…vuole evitare il giudizio degli editori…”, “…così si inonda il mercato di mediocrità…”, “…salta tutta la ‘ripulitura’ che un editore farebbe al gioco…”, “…il dilettantismo allo sbaraglio…”, ecc…
…Perchè questi commenti non si sentono per gli artisti che investono sulla loro musica per affidarsi solo al giudizio del pubblico?
In fondo, sia che si parli di CD musicale, sia che si parli di un boardgame, abbiamo un’opera d’arte (o dell’ingegno) se lo guardiamo dal punto di vista del compositore del CD e dell’autore del gioco, e anche un prodotto (se li guardiamo una volta posti sul mercato).
Perchè gli artisti musicali espongono come un vanto e un passo avanti quello di aver scelto di autoprodursi e gli artisti di boardgame sono invece giudicati, se scelgono lo stesso percorso, dei “furbetti che scelgono la via più semplice per evitare i giudizi degli esperti editori?”.
Tutto questo, si badi, senza che io abbia alcuna velleità di autoprodurmi qualcosa…
Solo per stimolare questa riflessione e sentire cosa ne pensate.
Piero… a parte che il tuo post mi ha fatto venire una voglia matta di provare Shipyard (alla prima occasione devo farlo… ma ci sono cavalli e bisonti da sterminare per farne gustose bistecche? Se no non vale la pena… :laugh: ), ahimè quello che dice Phoenix è in larga parte vero.
Insisti con altri editori sperando di trovarne uno più attento (ma lo sai già da te), e sono certo che prima o poi verrà pubblicato.
Quanto al discorso di Rifo sull’autoproduzione ed il parallelo con l’industria musicale… :dry: la questione è complessa.
Certamente uno dei problemi di questo mercato è che l’offerta supera la domanda, ecco perchè molti che dal settore devono ricavarci uno stipendio non vedono sempre di buon occhio l’autoproduzione, che effettivamente se fatta in maniera “selvaggia” e a casaccio inonda il mercato di prodotti mediocri.
Putroppo dovrebbe spettare agli operatori di mercato stessi (distributori e negozianti) operare una selezione. Nel caso della musica, nei negozi di musica non si trova qualunque demotape autoprodotto ma solo quelli che i responsabili acquisti decidono corrispondere ad uno standard qualitativo e produttivo minimo di mercato.
D’altro canto senza l’autoproduzione alcuni prodotti validissimi non avrebbero mai visto la luce.
Allora, la soluzione secondo me qual’è? Autoproduzione sì, ma con giudizio.
Bisognerebbe che ogni aspirante autore-autoproduttore si guardasse intorno e si sforzasse di proporre un gioco che rispetti gli standard qualitativi del mercato in termini di giocabilità, grafica, qualità dei materiali, ecc… è sicuramente uno sforzo, ma uno sforzo che paga. Poi, saremo tutti disposti ad accettare un prodotto valido sul mercato anche se non ha le finiture di un prodotto professionale, ma non l’ennesimo clone di Talisman o di Risiko o di Monopoli prodotto con materiali scadenti ed una giocabilità da latte alle ginocchia.
Se le “autoproduzioni” si chiamano Bang!, Bolide, Warangel ecc… il mercato può solo guadagnarci, e non a caso da prodotti del genere spesso nasce una casa editrice vera e propria…
Insomma, sarà un pò banale ma quel che penso è che come per molte altre cose, non è che “in se e per se” l’autoproduzione faccia bene o faccia male… dipende tutto da come viene fatta.
Ah ah… no stavolta niente bisonti e cavalli, e’ un gioco gestionale piu’ standard (oddio, standard non direi…) in cui devi costruire navi a vela nell’inghilterra del 18-19esimo secolo.
Ho parlato con Tobias (l’editor della Eggert) e fra “non-manager” ci siamo parlati chiaramente. Ho saputo in che condizioni e’ stato provato il gioco e capisco che non abbiano colto quasi nulla delle meccaniche (che come in tutti i miei giochi non sono visibili fin da subito, devi capire i flussi) ne tantomeno di possibili tattiche o strategie.
Non sono amareggiato per il fatto che il gioco la Eggert non l’abbia preso, sono amareggiato per le chiacchiere faraoniche fatte prima. Sono venuti dentro l’ufficio della HansImGluck mentre lo mostravo a loro a dire alla HiG di lasciarglielo a tutti i costi. Pensa te!
Dalle chiacchiere con Eggert e Tobias sono emersi alcuni problemi di “crescita”. E’ indubbio che la loro ditta sia stata vista come la Alea release 2. E sono letteralmente inondati di prototipi. Da Essen a Nroimberga ne dovevano provare 200. Esatto, proprio 200. Figurati quanto tempo hanno dedicato ad ognuno. SOno amareggiato dal fatto che Eggert chiede agli autori di essere dei superprofessionisti (“l’autore deve svolgere un indagine di mercato sulle passate pubblicazioni di ogni editore e sulle future pubblicazioni di cui si ha notizia, prima di mettersi a scrivere un gioco o di proporlo in modo da scegliere l’editore giusto”) e poi decide quali giochi pubblicare e quali non pubblicare imponendosi di playtestare non meno di 5 giochi a sera per 3 sere alla settimana. A me questo non sembra un grande professionismo DA PARTE LORO.
Inoltre questo discoso fa a pacche con l’altro che dice “daltro canto un editore non puo’ rifiutare un gioco anche al di fuori della propria linea e deve accettare di tutto, alla ricerca del nuovo TTR o del nuovo Magic”. E allora? Su che cosa io posso basare le mie indagine?
Io capisco le problematiche di un editore aperto da poco che ha avuto un grande successo e si trova di fronte a problemi di questo tipo, e sono disposto a fare io parte del lavoro che sarebbe dell’editore per aumentare le probabilita’ di pubblicazione, ma l’overdose di lavoro che la Eggert chiede e’ assolutamente fuori dai coppi. Non ci siamo.
Anche comprendendo la loro situazione, non ci siamo.
Se e’ cosi’ che trattano giochi, prototipi e autori… io la Eggert la cancello dalla lista.
Discorsi a strascichi di amarezza a parte adesso che sono rientrato in possesso del prototipo me lo porto dietro e te lo faro’ provare (anche perche’ Luke mi chiede di provarlo da almeno un anno e fra un po’ mi uccide). Berceto?
l’autore deve svolgere un indagine di mercato sulle passate pubblicazioni di ogni editore e sulle future pubblicazioni di cui si ha notizia, prima di mettersi a scrivere un gioco o di proporlo in modo da scegliere l’editore giusto
è sostanzialmente quello che dicevo prima…
Il punto è che il mercato dei gdt è veramente anomalo. Ossia vi sono da un lato pochi grandi autori che fanno questo per lavoro e poi la grande massa di appassionati che lo fanno per hobby. Le case editrici da questo status quo ne ottengono un vantaggio enorme. In fin dei conti possono scegliere tra una rosa di centinaia di lavori dal costo (= compenso all’autore molto basso) risibile.
In fin dei conti poi se il prodotto è valido chi ci perde è l’editore che se lo è fatto scappare. L’autoproduzione secondo me non è una buona idea. L’alternativa purtroppo è continuare a girare e proporre
Certo una lista nera aiuterebbe ma credo che ogni casa affermata riceva centinaia di prototipi e che quindi temo che un trattamento come quello riservato a shipyard possa essere piuttosto diffuso…
Il punto è che il mercato dei gdt è veramente anomalo. Ossia vi sono da un lato pochi grandi autori che fanno questo per lavoro e poi la grande massa di appassionati che lo fanno per hobby. Le case editrici da questo status quo ne ottengono un vantaggio enorme. In fin dei conti possono scegliere tra una rosa di centinaia di lavori dal costo (= compenso all’autore molto basso) risibile.
Si questo e’ un problema di tutto il settore (e non e’ l’unico).
In questo momento e da alcuni anni a questa parte i veri signori del mercato sono i distributori. Fanno il bello e il cattivo tempo e fondamentalmente decidono cosa va e cosa non va. Chiedi a Walter della sua esperienza con Chang Cheng, che prima della Tenki era in dirittura d’arrivo con la DoW. Attualmente gli editori producono prototipi, il piu’ vicini possibile a una versione finale, li fanno vedere ai distributori e producono poi realmente solo quello che ai distributori e’ piaciuto.
Le case editrici di maggior successo sono tra l’altro quelle che fanno da distributrici di se stesse. In questo modo evitano un passaggio della filiera, si permettono guadagni migliori e possono arrivare al mercato (se vogliono) con un prezzo finale piu’ basso.
E’ un problema di interfaccia. Gli autori si interffaciano solo con gli editori e sono questi che si interfacciano con i distributori. Al di la della distorsione delle informazioni, non interfacciandoci direttamente con i padroni del mercato gli autori sono in una situazione pessima.
Conoscendo bene parecchi editori so che non stanno bene neanche loro (la crisetta si fa sentire) e quindi non ci si puo’ arrabbiare piu’ di tanto. O per lo meno non e’ con gli editori che ci si dovrebbe inc*****e.
In fin dei conti poi se il prodotto è valido chi ci perde è l’editore che se lo è fatto scappare. L’autoproduzione secondo me non è una buona idea. L’alternativa purtroppo è continuare a girare e proporre
Io invece credo che l’autoproduzione sia una faccenda valida e abbia la sua ragion d’essere. Occorre farla bene (ovvero rimanere un autoproduttore e non coomportarsi come una piccola casa editrice), non ci si diventa ricchi di sicuro ma si hanno possibilita’ e guadagni migliori di quelle di un autore (assumendosi pero’ certi rischi, quindi la cosa e’ bilanciata)
Certo una lista nera aiuterebbe ma credo che ogni casa affermata riceva centinaia di prototipi e che quindi temo che un trattamento come quello riservato a shipyard possa essere piuttosto diffuso…
Io scrivo videogames e in quel settore la lista nera e’ da anni una istituzione e funziona benissimo. La prima software che si comporta male… zac. Attualmente addirittura la lista nera e’ “ongoing” nel senso che un editore o studio di sviluppo non viene “valutato” solo alla fine di un progetto, ma anche nel suo svolgersi. Funziona perfettamente. Tutta una serie di ciarlatani e furbetti sono stati eliminati e tutto il settore ci ha guadagnato un casino. Inoltre la lista nera (come anche le liste di merito) non e’ “a ditta” ma “a persona” cosicche’ se anche un manager bast***o cambia societa’ non riesce a “ripulirsi” dalla lista. Questo ha portato un ulteriore vantaggio: le societa’ piu’ serie (Blizzard, Ubisoft, Nintendo, non certo Sony) si informano sulla carriera di un manager non leggendo il suo CV, ma informandosi su cosa pensano di lui le persone con cui ha lavorato e se e’ sulla lista nera e’ difficile che trovi un’altro posto (dove continuare a fare danni). Insomma funziona.
Ritornando alla metafora musicale, mi sembra che la similitudine fra majors discografiche e i produttori (o meglio i distributori) abbia altri punti in comune.
Ad esempio l’appiattimento generale della produzione discografica, sempre a caccia del motivetto facile e dal successo immediato, privilegia un certo tipo di artista e di conseguenza di musica prodotta, abbassandone il livello generale. Questo certamente non impedisce di trovare degli artisti veri e non dei fotomodelli che cantano in playback. Per ogni grande casa ci sono decine di case discografiche indipendenti che sperimentano, rischiando relativamente poco. Tra di esse un gruppo dotato ma sconosciuto puo’ riuscire a farcela.
Per i giochi, oggi la produzione e’ talmente rischiosa e i numeri talmente piccoli che conviene ripiegare su prodotti magari non originali ma sicuramente vendibili, almeno per le grandi case editrici che hanno centinaia di negozianti da rifornire e decine di persone da stipendiare ogni mese. Anche in questo settore c’e’ chi rischia di suo. Grazie a mercati forti come quello tedesco anche un editore da 1000 – 2000 copie per uno – due giochi all’anno puo’ sopravvivere sperando nel successo che lo rendera’ famoso (non ho detto ricco).
Discorsi a strascichi di amarezza a parte adesso che sono rientrato in possesso del prototipo me lo porto dietro e te lo faro’ provare (anche perche’ Luke mi chiede di provarlo da almeno un anno e fra un po’ mi uccide). Berceto?
Ahimè ancora una volta niente Berceto per me… forse vado a Modena Comics per lavoro… ci sarai?
Ritornando alla metafora musicale, mi sembra che la similitudine fra majors discografiche e i produttori (o meglio i distributori) abbia altri punti in comune.
Ad esempio l’appiattimento generale della produzione discografica, sempre a caccia del motivetto facile e dal successo immediato, privilegia un certo tipo di artista e di conseguenza di musica prodotta, abbassandone il livello generale.
(cut)
Per i giochi, oggi la produzione e’ talmente rischiosa e i numeri talmente piccoli che conviene ripiegare su prodotti magari non originali ma sicuramente vendibili.
Proprio questa era la similitudine che mi ha spinto al confronto…
…come gli artisti musicali (affermati o meno) scelgono di autoprodursi per creare in libertà e sperimentare, non è che andrebbe vista con favore la figura dell’autore di giochi “indie”?
Ovviamente non dal punto di vista di chi opera sul mercato (concorrenza in più), ma dal punto di vista dell’offerta per i giocatori?
Un brano “alternativo” può piacere o meno ma ha pienamente diritto di presentarsi al pubblico (nessun fan dei Tokio Hotel si sente infastidito dalla presenza di CD di M.Gira, ad esempio).
Un gioco “alternativo” può piacere o meno ma a me (da NON-editore, NON-distributore, NON-dettagliante) non dà fastidio.
Beh sullo strapotere che i distributori hanno assunto un pò in tutti i settori negli ultimi anni ce ne sarebbe da parlare… E’ normale che se l’editore fa anche da distirbutore ha a sua volta meno vincoli, margini superiori e può applicare un prezzo inferiore.
L’autoproduzione è semplicemente essere editori di se stessi sia per come dice RIFO “per creare in libertà” o come dice CLOQUIL2 “si hanno possibilita’ e guadagni migliori di quelle di un autore assumendosi pero’ certi rischi, quindi la cosa e’ bilanciata”. Quest’ultima affermazione in particolare è la definizione di attività imprenditoriale. Autoprodursi significa di fatto COMPORTARSI DA PICCOLA CASA EDITRICE in cui imprenditore-editore ed autore coincidono nella medesima persona. Ergo con i ricavi devi coprire i costi altrimenti se si perde di vista ciò o sei talmente benestante da poterti permettere di fare beneficienza o vai in bancarotta…
Quando dico che l’autoproduzione a volte non è una buona idea è perchè il mercato è talmente saturo di case editrici ed offerte di prodotti che la competizione è molto dura. Qui entrano poi i gusti personali tra chi preferisce prendersi in silenzio i 200$ di compenso dalla casa XXX e chi crea l’autoproduzioniY e dopo un mare di lavoro si ritrova con 2$ di gudagno, e quindi non mi esprimo oltre.
Poi in fin dei conti torniamo sempre al punto di partenza. Il mercato non è composto da scemi e la gente (se non è presa da mode…) acquista il prodotto migliore indipendentemente che sia della blasonata casa XXX o della modesta autoproduzioniY.
Per quanto riguarda la lista nera, che rimane un ottima idea, a parte la Eggert non c’è nessun altro?
Quando dico che l’autoproduzione a volte non è una buona idea è perchè il mercato è talmente saturo di case editrici ed offerte di prodotti che la competizione è molto dura.
Più che altro secondo me il problema è che sulle ali dell’entusiasmo si facciano in fretta, senza approfondire bene tutti gli aspetti di una produzione, e alle fine venga fuori un prodotto (si badi bene: non parlo del “gioco”, ma del “prodotto”) di scarsa qualità, o troppo caro
Mario Sacchi - Post Scriptum http://postscriptum-games.it Il mondo è bello perché è Mario
Poi in fin dei conti torniamo sempre al punto di partenza. Il mercato non è composto da scemi e la gente (se non è presa da mode…) acquista il prodotto migliore indipendentemente che sia della blasonata casa XXX o della modesta autoproduzioniY.
Su questo avrei qualche dubbio.
Ho come la sensazione, come in tutti i campi, che la gente (intesa come massa) acquisti il prodotto MEGLIO PRESENTATO, non il prodotto migliore (anche se talvolta può coincidere).
Dove stiamo andando?
Non lo so... ma ci arriveremo molto velocemente.
(da Flushed Away)
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