Mi permetto di tradurre malamente (ritoccando quà e là Google Translator) questo vecchio intervento di Bruno che prende in considerazione non tanto le meccaniche quanto gli effetti che esse generano nei giocatori. In questo caso si parla della frustrazione generata dai meccanismi: un elemento spesso non considerato ma sempre presente nei giochi di successo.
– – – – – – – – – – – – – – – – Le mani nel motore 1 – La Frustrazione di Bruno Cathala
Quando ci piace un gioco, ci informiamo velocemente sul suo funzionamento. Il famoso “come funziona.” E così, in modo molto logico, specialisti e appassionati di tutti i livelli a poco a poco si trasformano in coroner, sezionando ed estraendo con entusiasmo i principali meccanismi dei giochi, per capire meglio le loro funzioni vitali.
Oggi si elencano una moltitudine di meccanismi di asta, maggioranze, bluff, scelta simultanea, programmazione, connessione, e molti altri. Questa analisi e classificazione, in se' davvero interessante, non è sufficiente per capire veramente com'è un gioco.
E se questa analisi ci facesse sfiorare la vera essenza del gioco? E se tutti i meccanismi di cui sopra fossero solo micro-meccanismi al servizio di questo macro-meccanismo presente in tutti i giochi? In una analogia meccanica, e se essi fossero solo la meccanica del motore…. E una bella meccanica non va molto lontano se non c'è benzina !!
E se questo combustibile, presente e indispensabile all'equilibrio di tutti i giochi fosse… FRUSTRAZIONE !!!
Per illustrare questo, prendiamo alcuni esempi:
Cominciamo con uno degli ultimi grandi successi al botteghino: Ticket To Ride. Al di là di un sistema di gioco semplice, gli elementi-frustrazione che genera sono numerosi: In primo luogo, la scelta dell'azione… ogni turno, si può fare solo una delle tre azioni disponibili, e per avvicinarsi alla meta finale, ad ogni turno avremmo bisogno di poter effettuare almeno due delle tre scelte richieste … Quindi la scelta E' la frustrazione !! Poi, per effettuare le varie connessioni, è necessario raccogliere un numero sufficiente di carte dello stesso colore … e guarda caso, il giocatore di fronte a voi prende l'ultima carta a voi necessaria … da qui: frustrazione. Infine, anche se basta scegliere la giusta combinazione di carte che vi permetterà di chiedere il collegamento ferroviario che vi permetterà di raggiungere il vostro obiettivo, un avversario piazzerà i propri vagoni, annientando le vostre speranze .. di nuovo frustrazione. In breve, durante il gioco, il giocatore si confronta con questo senso di frustrazione su obiettivi a breve o lungo termine, avrà la possibilità di raggiungerli, ma non la certezza. A volte accade, e la gioia è lì, a volte si fallisce, e l'obiettivo diventa inaccessibile. Ma questo non importa perché, almeno per un lungo periodo, si potrebbe sperare di avere successo.
Potremmo anche prendere l'esempio di tutti i giochi in cui il giocatore ha un certo numero di punti per effettuare le azioni di sua scelta durante il suo turno (ad esempio, la trilogia di Kramer: Tikal, Java , Mexica). Avete notato come è curioso? In ogni tuo turno giocato, vi mancano solo 1 o 2 punti necessari per fare esattamente ciò che si vorrebbe. Non è un caso… limitare le capacità dei giocatori in relazione alla loro strategia li porta a fare delle scelte, scelte frustranti, ma che apportano la tensione necessaria per il gioco.
Ovviamente, l'avvocato difensore può obiettare che se la frustrazione fosse in realtà questo meccanismo universale che “fa girare” ogni partita, allora sarebbe possibile fare giochi “perfetti” piacevole a tutti! Ma la realtà non è così semplice: infatti, sarebbe troppo facile, dimenticando che ogni individuo ha un rapporto diverso con la frustrazione. Il livello accettabile per alcuni diventa del tutto insopportabile per gli altri.
Prendiamo nuovi esempi: I Coloni di Catan è un successo commerciale che ha realizzato milioni di copie vendute. Eppure non è raro trovare sulle opinioni nette di giocatori che odiano totalmente questo gioco… e per quale motivo? La loro resistenza individuale alla capacità di frustrazione è stata superato: infatti, la stragrande maggioranza di coloro che non amano questo gioco evidenziano il sistema casuale di produzione di materie prime, la produzione determinata dal risultato di un lancio di dadi. Per questa categoria di giocatori, il gioco è un pretesto per una dimostrazione di competenza tattica e strategica. Per loro invece, è insopportabile perché troppo frustrante vedere la vittoria sfuggire al beneficio di qualcuno che considerano aver giocato meno bene, ma per i quali i dadi sono stati più favorevoli!
Esso comprende anche la maggior parte dei giochi di reazione come, ad esempio, Jungle Speed o Fantascatti. Alcune persone si rifiutano assolutamente di praticare qualsiasi gioco di questo tipo perché lo stress generato è troppo grande, e sono frustrati di vedere l'avversario trovare sempre la risposta giusta solo un decimo di secondo prima di loro. Troppa frustrazione uccide la frustrazione!
Provate a ricordare tutti i giochi che amate o odiate, e provate a valutare quanto conti la frustrazione in positivo o negativo nei confronti di questo gioco. E non immaginate che sia possibile fare un gioco che non ne contenga almeno una minima parte. I giochi sono come la vita: se fosse possibile in ogni momento ricevere tutto quello che desiderate, sareste più felici?
Quindi, per giocare felici, bisogna giocare frustrati?
Se per frustrazione si intende uno stato psicologico di profonda depressione o di sconfitta, che insorge di fronte a difficoltà sentite come insormontabili (copiaincollatodainternet) penso che la frustrazione (almeno in italiano) abbia solo una accezione negativa. Quindi sono d’accordo con l’assioma “troppa frustrazione=molto male” ma meno con “poca frustrazione=bene”
Nel gioco le difficoltà non devono essere mai sentite come insormontabili, se no smetto di giocare e faccio altro…ci vuole ottimismo nel fare la propria mossa, il pessimista frustrato, semplicemente non gioca!
Giocando a Ticket to Ride non mi sento frustrato, se posso fare solo una cosa per turno, le regole sono quelle e sono uguali per tutti, le accetto e le vivo serenamente…è piuttosto la sfida di sfruttare a mio vantaggio delle risorse scarse (tempo, materie, scelte,ecc) che mi eccita nel gioco!
Comunque articolo interessante…sono curioso di leggere gli altri!!
è piuttosto la sfida di sfruttare a mio vantaggio delle risorse scarse (tempo, materie, scelte,ecc) che mi eccita nel gioco!
sono d'accordo con guizzo, è la sfida, l'agon, che mi sprona. se si arriva nel campo della frustrazione (l'ultimo in ordine di tempo è XCOM con tutti quei lanci di dado), che ha accezione negativa, per quanto mi sia piaciuto tendo a non rigiocarlo.
E' semplicemente il concetto della curva e del “Flow” di Csikszentmihalyi applicato al gioco da tavolo.
Se il gioco è troppo difficile incorre l'ansia, lo stress e la frustrazione, se è troppo facile, al contrario parte la noia. Il giusto equilibrio sta nel mezzo, nel flow appunto, nel quale c'è un certo grado di sfida, sufficiente a farci divertire, appassionare al gioco e generare di conseguenza una esperienza appagante e positiva. Come detto, l'equilibro cambia da individuo a individuo, perché ognuno ha diverse capacità, qualità e deficienze, quindi se per un giocatore calcolare e gestire le risorse in un gioco in cui queste vengono date col contagoccie risulta accettabile, magari un altro giocatore lo reputa molto più complesso, e per quest'ultimo risulta di conseguenza frustrante (deviando in questo modo dal “flow”). Per questo motivo creare il gioco “perfetto”, equilibrato per tutti, credo sia qualcosa al limite dell'impossibile.
Presidente associazione ludica DADODADODICI di Orzinuovi (BS) www.dadodadodici.it
Bello che il grafico comprenda tutto tranne interesse e divertimento ^___^;;; Poi, comprendo perché all'aumentare della sfida aumenti l'ansia (ma poi perché l'ansia? I giochi non mi mettono ansia: ci pensa già la vita, se ci si mettono pure loro è la fine) ma non perché all'aumentare dell'abilità aumenti la noia, non è che se una cosa so farla bene mi annoio a farla. Resto comunque dell'idea che la frustrazione non c'entri niente. Se io trovo complicato gestire risorse che ricevo a spizzichi e bocconi, troverò il gioco difficile e/o poco divertente, ma non mi sentirò frustrato. Mi sentirei frustrato se a me arrivassero a spizzichi e bocconi e a tutti gli altri a camionate, quello sì.
Bello che il grafico comprenda tutto tranne interesse e divertimento ^___^;;; Poi, comprendo perché all'aumentare della sfida aumenti l'ansia (ma poi perché l'ansia? I giochi non mi mettono ansia: ci pensa già la vita, se ci si mettono pure loro è la fine) ma non perché all'aumentare dell'abilità aumenti la noia, non è che se una cosa so farla bene mi annoio a farla.
Il grafico comprende ciò che tu descrivi in modo intrinseco. Quando il rapporto fra sfida e abilità personali sono bilanciate, e quindi ricadono nel flusso (flow), si ha proprio quello che tu definisci divertimento.
All'aumentare della sfida, aumenta il grado di ansia/stress/frustrazione potenziale, questo è ovvio. Più un problema è difficile da superare, più queste componenti aumentano di conseguenza.
A contrastare ciò c'è la capacità/abilità di chi il problema lo affronta. Più uno è abile, maggiore è il grado di sfida che è in grado di affrontare, ma nel contempo, se sono talmente abile da risolvere ogni problema senza pensarci un attimo, non trovo sfida, e di conseguenza mi annoio.
Un esempio banale. Fate giocare a tris a un giocatore pro-gamer di Magic. Vediamo quanto si diverte… Ora fateci invece giocare un bambino. Riterrà quasi sicuramente il gioco divertente, perché per quest'ultimo che ha certamente meno skill, il rapporto sfida/abilità ricadrà all'interno del flusso (flow), cosa che invece non accade per il pro-gamer.
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Il grafico comprende ciò che tu descrivi in modo intrinseco. Quando il rapporto fra sfida e abilità personali sono bilanciate, e quindi ricadono nel flusso (flow), si ha proprio quello che tu definisci divertimento.
No, si ha un equilibrio tra ansia e noia, ovvero uno stato in cui due sensazioni entrambe sgradevoli si controbilanciano, cosa che non mi porta a una sensazione gradevole. Se io sono interessato e/o divertito il mio livello sia di ansia che di noia è zero (il che secondo il grafico significherebbe che sono apatico).
All'aumentare della sfida, aumenta il grado di ansia/stress/frustrazione potenziale, questo è ovvio. Più un problema è difficile da superare, più queste componenti aumentano di conseguenza.
Non è così ovvio. Ansia/stress/frustrazione possono insorgere se il problema è eccessivamente difficile (leggi: non superabile o comunque non superabile se non a fronte di numerosi insuccessi), altrimenti un problema difficile si limita a stimolarti, non ti rende ansioso, almeno non in un gioco.
A contrastare ciò c'è la capacità/abilità di chi il problema lo affronta. Più uno è abile, maggiore è il grado di sfida che è in grado di affrontare, ma nel contempo, se sono talmente abile da risolvere ogni problema senza pensarci un attimo, non trovo sfida, e di conseguenza mi annoio.
Questo, al contrario, ha senso in un gioco, ma non nella vita reale. E comunque dipende anche dal gioco.
Un esempio banale. Fate giocare a tris a un giocatore pro-gamer di Magic. Vediamo quanto si diverte… Ora fateci invece giocare un bambino. Riterrà quasi sicuramente il gioco divertente, perché per quest'ultimo che ha certamente meno skill, il rapporto sfida/abilità ricadrà all'interno del flusso (flow)
Probabile, ma non diventerà ansiogeno quando gli viene spiegato il gioco (e dunque la sua abilità è 0). Non è che io stia contestando l'esistenza del grafico, quello che sto contestando è: 1) sfida = ansia (se applicato ai giochi) 2) abilità = noia (se NON applicato ai giochi, ma a volte anche per quelli) 3) la possibilità di applicarlo ai giochi in generale, perché normalmente all'aumentare dell'abilità diminuisce giocoforza il grado di sfida, il che rende lo stato di flow irraggiungibile. Questo non vale se ci troviamo in un caso di gioco in cui la difficoltà sale con l'apprendimento, ma questo lo trovo possibile per gioghi di ruolo o videogiochi, per un gioco da tavolo mi sembra assai improbabile.
Non è che io stia contestando l'esistenza del grafico, quello che sto contestando è…
Risponderti punto per punto credo potrei farlo ma credo dilunghi inutilmente la discussione visto che comunque vedo che rimani fermo sul tuo punto di vista che a mio avviso risulta falsato soltanto da una non tua corretta interpretazione in fase di lettura del grafico stesso.
Ciò che mi premeva, in ogni caso, era contribuire alla discussione con quanto di mia conoscenza, un aspetto già ampiamente noto e dato come assodato nell'ambito della psicologia e della recente disciplina del game studies.
Presidente associazione ludica DADODADODICI di Orzinuovi (BS) www.dadodadodici.it
Penso sia un problema di lessico…frustrazione forse non è la parola piu adatta ad esprimere il concetto, mentre le parole ansia e stress del grafico rendono perfettamente.
Si forse guizzo ha centrato. Quello che secondo me Cathala voleva evidenziare e' lo stress di un gioco, infatti esiste non a caso, quello che viene considerato stress positivo, ovvero quella situazione di difficolta' che ti spinge a migliorare e che peoduce effetti positivi. Molto azzecatamente folkwine ha fatto l'esempio del bambino, della tria e del giocatore pro.
Si puo' ragionare anche all' inverso: prendiamo un rompicapo, o puzzle game, ultra semplice. Questo quiz, banalizzando, potrebbe essere ” quanto fa 1 + 1? “. A quale livello dicomplessita' un gioco/rompicapo/puzzle smette di essere noiosamente banale e diventa stimolante? E quando una cosa stimolante diventa troppo frustrante? Ovviamente le risposte sono soggettive ma inquadrano il fatto che e' insito nel divertimento il senso di sfida offerto, il livello di sfida e' dato (generalizzando) per sottrazione ovvero da una situazione in cui ho tutto per fare tutto subito tolgo risorse, tempo o altri elementi utili al raggiungimento degli obiettivi in maniera semplice. Se in agricola avessi 1000 di ogni risorsa, tutte le azioni sempre disponibili e non ci fosse il problema del cibo penso che non sarebbe altrettanto divertente.
" Mai giudicare lo sforzo dal risultato soprattutto se il buco e' piccolo"
Probabile, ma non diventerà ansiogeno quando gli viene spiegato il gioco (e dunque la sua abilità è 0). Non è che io stia contestando l'esistenza del grafico, quello che sto contestando è: 1) sfida = ansia (se applicato ai giochi) 2) abilità = noia (se NON applicato ai giochi, ma a volte anche per quelli) 3) la possibilità di applicarlo ai giochi in generale, perché normalmente all'aumentare dell'abilità diminuisce giocoforza il grado di sfida, il che rende lo stato di flow irraggiungibile. Questo non vale se ci troviamo in un caso di gioco in cui la difficoltà sale con l'apprendimento, ma questo lo trovo possibile per gioghi di ruolo o videogiochi, per un gioco da tavolo mi sembra assai improbabile.
E' molto piu' probabile e frequente di quello che tu immagini invece. Ai giochi ti diverti a giocare di piu' con bambini e vincere sempre, con giocatori di pari livello o contro dei giocatori pro che ti umiliano ad ogni partita? Nei giochi collaborativi, guarda caso, e' possibile aumentate il livello di sfida sempre piu' ed e' risaputo che un collaborativo in cui sia troppo semplice vincere non e' un buon collaborativo.
" Mai giudicare lo sforzo dal risultato soprattutto se il buco e' piccolo"
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